Il passato e il futuro

“Quando consideriamo qual è il fine principale dell’uomo, per usare un’espressione del catechismo, e quali sono le vere necessità e ricchezze della vita, ci sembra che gli uomini abbiano scelto il modo di vivere attuale perché lo preferivano a qualunque altro. Pensano onestamente che non gli sia stata concessa alcuna scelta. Ma le nature attente e in salute rammentano che il sole sorse limpido. Non è mai troppo tardi per liberarsi dai pregiudizi. Non ci si può fidare di nessun modo di fare o di pensare, per quanto consueto, senza averne prima sperimentata la verità.
In realtà i vecchi non hanno consigli importanti da dare ai giovani, poiché la loro esperienza è stata parziale e la loro vita un triste fallimento, non certo per colpa loro, o almeno così sono costretti a credere.
Ho vissuto circa trent’anni su questo pianeta, eppure devo ancora sentire la prima sillaba di un consiglio prezioso o almeno sincero in bocca a qualcuno più vecchio di me. La vita è un esperimento che in gran parte non ho ancora provato, e il fatto che i vecchi lo abbiano fatto non mi è di alcun giovamento. Se posseggo un po’ di esperienza che stimo preziosa, sono certo che i miei mentori non ne hanno mai parlato.
La natura e la vita umana sono varie quanto i nostri modi d’essere. Chi può dire cosa offre la vita agli altri? C’è un miracolo più grande del riuscire a guardarci l’un l’altro negli occhi per un istante? Dovremmo vivere tutti i secoli del mondo in un’ora, anzi, vivere insieme tutti i mondi lungo i secoli. Storia, Poesia, Mitologia! Non conosco nessuno studio dell’esperienza altrui altrettanto istruttivo e sconvolgente.
Sono convinto che la maggior parte di ciò che gli uomini reputano buono è cattiva; e se mi pento di qualcosa, molto probabilmente mi pento delle mie buone maniere.
Io credo che potremmo avere molta più fiducia di quanta ne abbiamo. E potremmo liberarci dall’apprensione per noi stessi se ci donassimo sinceramente ad altro.
La continua ansia, la tensione di alcuni di noi è quasi una forma incurabile di malattia. Tendiamo a esagerare l’importanza del lavoro che compiamo, eppure quanto di questo non è opera nostra! Cosa succederebbe se ci ammalassimo? Come siamo vigili!
Confucio disse: «Sapere che sappiamo quel che sappiamo e che non sappiamo ciò che non sappiamo è il vero sapere.»”

Henry David Thoreau
Walden ovvero Vita nei boschi

La vita è così

«È la più bella spiaggia del mondo, io ho girato quasi tutto il mondo, ma Torre Pedrera, adesso dico Torre Pedrera perché sono a Torre Pedrera, ma Rimini, faccio per dire, la riviera adriatica… L’America, l’America cos’è di fronte a noi, niente! Mi chiamano Zizì e le donne quando sentono Zizì hanno voglia di venire con me, insomma, ecco. Sono un personaggio… Raffinato. Sono uno che sono un po’ particolare. Perché io ho avuto la pelliccia cinquant’anni fa che ancora non c’era, ce l’avevo solo io sulla riviera, però non è che io ho comprato la pelliccia perché voglio che la gente mi guarda, è la mia personalità, io son buono di metterla magari due mesi e poi stare un anno senza metterla, hai capito? E forse perché anche finanziariamente sono sempre stato bene, hai capito… La mia vita son le donne, sono, e finché sono vivo, la donna è la prima roba. Io ne ho avute tante e ne ho ancora tante che non so dove buttarle. Una quand’è stata con me un’ora, faccio per dire, o due ore, magari la porto al Paradiso, la porto al Bilbò, la porto al Rose & Crown e giù di là, lei si va a divertire e io mi diverto, hai capito? Ormai ho sessant’anni, non son più un bambino. Quando ero più giovane avevo una bellissima macchina, avevo una bella moto, andavo al night, andavo a ballare, andavo al ristorante, e dove andavo io, dopo cinque minuti, dieci minuti, eravamo in dieci, quindici, venti perché con me la gente sta bene. Si divertono, li tengo su… E la faccia insomma non mi manca. Poi quando ti sei fatto un nome, le donne sono così, sono, hai capito? Se ce ne hai una, ne hai due, tre, quattro, cinque, se non ce ne hai neanche una, non ce ne hai neanche una. La mia tecnica è che come parlo normalmente parlo anche con le donne. Io non tartaglio quando parlo con le donne, oppure divento rosso, oppure ho paura di parlare, di qua e di là. Io non lo so cosa c’ho, se il signore mi ha fatto un dono di natura, di qua e di là… Io quando sono con una donna, dopo cinque, dieci minuti, un quarto d’ora, non dico che potrei farci l’amore di qua e di là, però vorrebbero venire con me. È normale, non tutte. Invece tutti i miei amici ci vanno a parlare e gli dicono, “Ma cosa vuole? Ma chi ti conosce?” Invece io rimango lì e le ipnotizzo, e non so il motivo, boh. E tutti i miei amici me le lasciano a me perché io ho questo dono che loro non ce l’hanno. E invece una volta per dare un bacio a una ragazza ci voleva settimane e settimane, era più bello, era… Però si va dietro alla vita, si va dietro, no? La vita è così, si va dietro così.»

Paolo Cima, alias Zizì

Mi ricordo

Mi ricordo quella volta che il mio amico Jacopo, che era più grande, ci aveva spiegato come si fa a farsi le seghe. Sembrava una roba impossibile. Allora ero andato a casa e ci avevo provato subito, ma non era successo niente. Poi ci avevo riprovato e riprovato e riprovato, ma niente. Per un po’ di tempo ho pensato che ci avesse presi tutti per il culo.

Mi ricordo quando Di Biagio ha preso la traversa nel ’98, che ero seduto per terra, in cucina, e la mia mamma mi ha guardato come se fossi stato io.

Mi ricordo che una volta ho fatto una scritta con la bomboletta sotto casa di una. Avevo disegnato un cuore e dentro ci avevo messo la mia iniziale più la sua iniziale. Il cuore era venuto un po’ schiacciato da una parte, ma ero contento. Il giorno dopo i miei amici erano andati a vederlo e mi avevano riempito di domande. Uno mi aveva chiesto se lei me l’aveva data. Se io ero vergine non me lo chiedevano. Sembrava che vergini dovessero essere solo le femmine.

Mi ricordo la prima volta che ho sentito i miei che scopavano. Mi ricordo che avevo avuto una gran paura perché mi sembrava che mia mamma stesse piangendo. Mi ricordo che poi, quando ho sentito mia mamma piangere per davvero, non ho sentito niente.

Mi ricordo che da piccolo facevo le preghiere per chiedere le cose a Dio, tipo per non farmi interrogare a scuola, o per farmi sparire i brufoli, e per compensare ci mettevo anche un pensierino sui terremotati di San Giuliano. Mi ricordo che poi ho smesso di fare le preghiere, e poi ho ricominciato, poi ho smesso, poi ho ricominciato, poi ho smesso…

Una parola

Massaggino ha due esse e due gi, ma sono le due gi che fanno la differenza. Mi fanno sentire calmo e circondato da nessuno, insomma in una stanza dove al massimo si è in due, che uno chiede all’altro: «Mi fai un massaggino?»
Massaggino è una parola così, che se la pronunci in mezzo al mercato non la sentono dall’inizio alla fine, mentre se la pronunci in una camera, su un divano o su un letto, ti riempie il silenzio, ed è talmente lunga che prende tutto l’ossigeno che hai: in qualche modo liscia i pavimenti, sbianca i muri.
E poi finisce in -ino, e in generale tutte le parole che finiscono in –ino, per me, sono più leggere delle altre; sono sottili, fragili, e quando le dico mi sembra di tenerle tra due dita, appena appena, come l’ala di una farfalla.
Massaggino l’ho imparata da mio babbo, quand’ero piccolo, che avevo mal di pancia, e il mio babbo diceva: «Ci vuole un massaggino, adesso ti faccio un massaggino.» E funzionava. Invece se te lo fai da solo non funziona. È una parola da compagnia, da volersi bene, da guarigione, e la puoi usare anche se non stai male per davvero, qualcosa fa.
L’unico problema è che non si può chiedere un massaggino a chiunque. Bisogna avere un po’ di confidenza, altrimenti ti prendono per uno senz’ossa, un debole, un maniaco dei massaggini. Ancora è un tabù nella nostra società. Certe donne pensano subito male. Tu le chiedi: «Vuoi un massaggino?», e hai tutte le buone intenzioni del mondo, ti sembra di essere dolce, premuroso, e invece lei ti guarda come se la volessi stuprare con le buone, e si scansa, ridacchia, e poi non la rivedi più.
Va usata con parsimonia, massaggino. Io, adesso, non la spreco, me la tengo per le occasioni speciali. L’anno scorso, che è stato un anno buono, l’ho usata tre volte. Quest’anno ancora nessuna. Va così, purtroppo. Mi manca un sacco, sul serio, e un po’ mi fa stare male. E niente, ci vorrebbe un massaggino.

Dalla finestra

C’è il filo delle cuffiette che oscilla sul foglio e i miei occhi vanno su e giù dalla finestra. Un impegno mi farebbe alzare per togliermi da qui, precisamente qui, e andarci per davvero sotto la pioggia, la stessa di ieri, anche oggi, e cominciare a correre e strisciare le mani sui muri dei palazzi e sui pali degli autobus, e di gomito anche sui cappotti delle donne, quelle che scelgo io però, coi ciuffi di capelli raccolti dietro le orecchie, le orecchie… Ricordo mia mamma quand’era giovane, che in macchina ascoltava Vasco sbranando la cicca, e io seduto dietro, e lei si girava e sorrideva e io nel dubbio guardavo il finestrino per non sentire vergogna. Bello il finestrino! Belle le finestre, il vetro… Insomma poi continuerei a correre oppure fermerei un taxi per non salire, c’è una musica lontana nascosta dietro la pioggia, e tutti questi bar pieni di gente in camicia che stringe la mano ad altra gente in camicia; i bar, posti pieni di bicchieri, i bar, un milione di bicchieri che, se fosse per me, li porterei tutti fuori dai bar e li metterei per strada a raccogliere questa pioggia, che viene giù sempre meglio, sempre più bella. Invece riapro gli occhi, sono all’angolo del mio salotto, la schiena sbilenca come un cartello tamponato, e va tutto bene mi dico, va tutto bene: mia mamma è invecchiata, Vasco è invecchiato (ma non troppo), la gente in camicia invecchierà e verrà sostituita da altra gente in camicia più giovane. E i bar chiuderanno e altri bar riapriranno, ma sono sicuro che rimarranno circa lo stesso numero di adesso. Però la pioggia non invecchia, e continuerei a guardarla ancora un po’. Ogni volta che ritorna mi sembra che ci salutiamo e ci diciamo poche parole, parole che ti escono da un mezzo sorriso che non ti riesci a cavare dalla faccia, e io la spio dalla finestra, la pioggia, e lei mi prende tutti i pensieri come quando penso a una che mi piace e che non vedo, invece la pioggia la vedo, è dappertutto, fuori, e diventa dappertutto anche dentro la mia testa. E quindi va bene, come dicevo, anche oggi, qui, va tutto bene, più o meno, sia dentro che fuori.