I fatti

Tu non guardi mai ai fatti. Ed è soprattutto questo maledetto sistema di non guardare ai fatti che t’ha messa in questo stato d’animo pasticciato, e che non potrà mai cavartene fuori.

 

da Franny e Zooey
di J. D. Salinger
(Einaudi, 1963)

Un lungo momento vuoto

Bastava che tutto nella loro vita fosse come un lungo momento vuoto, in regola, senza senso, senza attese, senza nessuna seccante storia da raccontare. Bastava riuscire a ficcare tutto, casa, moglie, lavoro, paesotto, country club, e anche se stessi, nel sacco dei momenti vuoti che nessuno ricorda mai. Diceva proprio così, Jack: “Lo ficchi nel sacco dei momenti vuoti che nessuno si ricorda, perché sono cose poco interessanti, sempre uguali, su cui non c’è niente da dire, ed è questa l’eternità.”

 

da Cinema naturale
di Gianni Celati
(Feltrinelli, 2001)

Uno dei deliri

Sono cose che succedono, quando c’è la voglia di scrivere qualcosa che in quel momento sembra assolutamente decisivo, sembra che la tua vita dipenda da quello, eccetera. È uno dei deliri che viene dall’essere soli, soli con la propria cosiddetta esperienza, che poi non si sa bene che cos’è.

 

da Cinema naturale
di Gianni Celati
(Feltrinelli, 2001)

Non essere

IAN Come stai ora?
CATE (sorride).
IAN Sembravi morta.
CATE Più o meno è così.
IAN Non lo rifare, cazzo se mi sono spaventato.
CATE Non so che mi succede, parto. Posso star via un minuto o un mese magari, poi ritorno sempre dov’ero.
IAN È terribile.
CATE Non sono andata lontano.
IAN E se non tornavi più?
CATE Boh. Sarei rimasta lì.
IAN Non lo sopporto.
CATE Cosa?
IAN Morire. Non essere.

da Tutto il teatro
di Sarah Kane
(Einaudi, 2000)

Piccola

Tengo premuto il tasto laterale del telefono. Il telefono si spegne.
«Che c’è, amore?»
«È bello parlare. Parlare davvero.»
«A volte non riesco a seguirti. Ma passa.»
«Posso dirti che ti amo senza che tu lo prenda come un vicolo cieco della comunicazione?»
«Puoi farlo.»
«Ti amo, piccola.»
Piccola sorride. Io guardo il telefono spento.

 

da Volevo essere Vincent Gallo
di Sergio Oricci
(Pidgin, 2021)

Dei vitelli

Un giorno, arringavo i più malinconici. Il tono declamatorio non mi faceva paura, d’altronde vi ero predisposta. Uscite dal coma, gli dicevo, e ritornate in voi, non siete dei vitelli. Era a me stessa che parlavo in verità. Verificate anzitutto di non essere morti. Appassionate la vita, accrescete il respiro, non conformatevi all’immagine di voi stessi. Coltivate sapientemente i malintesi. Aprite le braccia, chiudete i pugni, rifiutate qualsiasi elemosina. Non date corda a chi vi svilisce. Inventariate le vostre forze, e siate devoti alle vostre collere a seconda dei giorni e dei vostri umori. Siate devoti alle vostre collere a seconda dei giorni e dei vostri umori. Dite ne ho abbastanza. Dite: io contro. Io sono contro.

 

da Contro
di Lydie Salvayre
(bèbert, 2014)

Antonuo

«Tu eri confusa, solo tu. Con quell’altro tizio, Antonuo o come si chiamava. Io non ero confuso, non ero confuso per niente. Non c’era nessuna Antonua che mi mandava in confusione.»
«Antonio.»
«Antonuo, Antonio, non fa nessuna differenza.»
«Antonuo non è neanche un nome.»
«Perché, Antonio lo è? Chi si chiama Antonio oggi? Trovami un bambino, ma anche un ragazzo, qualcuno sotto i quarant’anni che si chiami Antonio.»
«Forse dove vivevi tu non ce ne sono molti, ma se ti sposti più a sud se ne trovano.»
«Può darsi, può essere. Ma non mi interessa quello che può succedere o non succedere dall’altra parte del mondo.»

 

da Volevo essere Vincent Gallo
di Sergio Oricci
(Pidgin, 2021)

Nemmeno me

PPS. Mi sento così sciocca e ignorante quando ti scrivo. Perché? Ti autorizzo ad analizzare il fenomeno. Però, domenica prossima cerchiamo semplicemente di divertirci. Cioè, per una volta sola, se possibile, vediamo di non analizzare tutto fino alla pazzia, nemmeno me. Ti voglio bene.

 

da Franny e Zooey
di J.D. Salinger
(Einaudi, 1961)

L’endotico

I giornali parlano di tutto tranne che del giornaliero. I giornali mi annoiano, non mi insegnano niente: quello che raccontano non mi riguarda, non mi interroga e tantomeno risponde alle domande che faccio o vorrei fare.
Quello che succede davvero, quello che viviamo, il resto, tutto il resto, dov’è? Quello che succede tutti i giorni e che torna a succedere ogni giorno, il banale, il quotidiano, l’evidente, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale, come renderne conto, come interrogarlo, come descriverlo?
Interrogare l’abituale. Ma, appunto, ci siamo abituati. Non lo interroghiamo, non ci interroga, non ci sembra costituisca un problema, lo viviamo senza pensarci, come se non veicolasse né domande né risposte, come se non contenesse nessuna informazione. Non è nemmeno più un condizionamento, è l’anestesia. Dormiamo la nostra vita di un sonno senza sogni. Ma dov’è, la nostra vita? Dov’è il nostro corpo? Dov’è il nostro spazio?
Come parlare di queste “cose comuni”, o, piuttosto, come braccarle, come stanarle, come staccarle dal pietrisco nel quale sono inglobate, come dar loro un senso, una lingua: che parlino, infine, di quello che è, di quello che siamo.
Forse di tratta di fondare, finalmente, la nostra antropologia: quella che parlerà di noi, che cercherà, dentro di noi, quel che abbiamo sottratto, così a lungo, ad altri. Non più l’esotico, ma l’endotico.
Interrogare quello che sembra talmente evidente che ne abbiamo dimenticato l’origine. Ritrovare qualcosa dello stupore che potevano provare Jules Verne o i suoi lettori davanti a un apparecchio capace di riprodurre e trasportare i suoni. Perché è esistito, quello stupore, con migliaia di altri, e sono loro che ci hanno plasmato.
Quel che bisogna interrogare sono i mattoni, il cemento, il vetro, le nostre maniere a tavola, i nostri utensili, il modo in cui passiamo il tempo, i nostri ritmi. Interrogare quel che sembra aver smesso per sempre di stupirci. Viviamo, certo, respiriamo, certo; camminiamo, apriamo porte, scendiamo scale, ci sediamo a un tavolo per mangiare, ci corichiamo in un letto per dormire. Come? Dove? Quando? Perché?

da L’infra-ordinario
di Georges Perec
(Bollati Boringhieri, 1994)

Non si può

1948

 

Ventitré anni, carina, innamorata, ma i suoi non volevano, suo padre delle scenate, per settimane, mesi, una guerra, lei sempre più innamorata, e l’altra sera è andata a letto presto, si è chiusa in camera, e la mattina non s’è svegliata più. Che uccidersi non va bene, non si può, però ’sta bambina, adesso, come farà il Signore a mandarla all’inferno?

 

da La nàiva. Furistìr. Ciacri
di Raffaello Baldini
(Einaudi, 2000)