Stivali di occhi neri

Le ragazze, quelle che camminano,
con stivali di occhi neri
sui fiori del mio cuore.
Le ragazze, che hanno abbassato le lance
sul lago delle proprie ciglia.
Le ragazze, che si lavano i piedi
nel lago delle mie parole.

Velimir Chlebnikov
da 47 poesie facili e una difficile

La maniglia

Di notte, dal letto, si sentono le macchine che passano, sembra che arrivino da lontanissimo, non si fermano, volano dritto. Se stai a occhi chiusi, ce ne sono alcune che non arrivano mai, poi i motorini, fanno un casino. Camminavo per casa, prima, la testa leggera, e la maniglia della porta mi si è infilata in un passante dei pantaloni. Meglio di così…

Salvini

Salvini è come uno che conoscevo, si chiamava Nicola, aveva sempre una novità. Andavo da lui, a parte che aveva la piscina, anche, poi l’attico in cima al condominio, avevamo undici, dodici anni, la sua mamma gli comprava tutto, ma tutto, giochi, computer, scarpe da calcio, da calcetto, da calciotto, e lui mi faceva vedere, era tranquillo, parlava, spiegava, e poi il giorno dopo altra roba nuova, non finiva più. Adesso Salvini fa uguale, rilancia tutti i giorni, sennò la gente abbassa la guardia, s’addormenta, e dopo si scordano di tutto. Io, quando avevo bisogno di novità, ero piccolo, non c’era la politica, andavo da Nicola, stavo un po’ lì, guardavo, questo cos’è, e questo? Non le volevo, tutte quelle robe, da far che, non mi servono, non ci faccio niente, anzi, dar via un fiore a una ragazza, a me, come mi piacerebbe…

Il neo

Devo dire che i russi, non pensavo, prima non li conoscevo, invece adesso che ci ho parlato, con le russe, mi son ricreduto. Li facevo diversi, freddi, un po’ stronzi, dato che i giornali fanno passare Putin come il diavolo…
Son leggeri, i russi, leggerissimi. Ci parli un minuto e ti mettono il buon umore, gentili, scherzano, non esagerano mai in niente. Però sono anche seri, quando serve, e ti aiutano, basta un’occhiata e capiscono. Sembra che esistano apposta per te.
Qui a Malta è pieno di russi, e c’è questa ragazza, si chiama B., è bionda, mi ha detto che abita a Mosca, parliamo molto, anche se io in inglese so dire poche cose, lei mi viene incontro. Bene o male ci capiamo. Dice che Mosca è economica, un biglietto della metro costa 15 cent e tutte le fermate son bellissime, coi quadri, i muri ricamati. Però ha detto che in Russia non va tutto bene come a Mosca; io le ho detto che a me piacciono i posti così, dove ci sono le cose belle e le cose brutte insieme.
Aveva il raffreddore, quel giorno, B., starnutiva fisso, ma voleva dirmi tutto: le piace prendere il treno ma solo se c’è il Wi-Fi; non sopporta l’aria condizionata perché si ammala subito. Poi conosce un sacco di giochi, lei, li fai coi suoi studenti russi, e adesso anch’io e gli italiani ci giochiamo. Per esempio c’è quel gioco che devi fare la lingua agli altri, senza farti vedere da chi è in mezzo, oppure palla avvelenata, che in inglese si dice fireball. Avevamo delle sfide, tra di noi. In generale io vinco spesso, perché sento la competizione. Però lei sa fare delle posizioni, con le dita, intrecciando le mani, che io ci provo ma è impossibile.
Mi ha insegnato delle parole nuove, in inglese. Spiccicavo solo due o tre frasi, poi con B., che aveva pazienza, non sempre, certe volte mi sfanculava, un po’ di cose le ho imparate: ho scoperto che song, canzone, si pronuncia son, senza la g. E altre robe che adesso non mi vengono in mente.
Il problema è che l’ho capito tardi, che mi piaceva.
L’ho capito un giorno, verso la fine, eravamo in autobus, mi stava dicendo che ha un neo nell’occhio, lei, e mi ha detto di guardarci, se lo vedevo. Ho cominciato a cercarlo, il neo, nel suo occhio, non lo trovavo da nessuna parte. Dopo un po’ l’ho trovato. Era proprio sul bordo della pupilla, un neo piccolino, lì, nel suo occhio. E quando ho smesso di guardare, dentro il suo occhio, per guardarla di nuovo in tutti e due, ho visto la sua faccia intera, e lei mi stava ancora guardando…
Rideva. Se m’innamoro di una russa è finita, ho pensato.
Diceva che era una cosa unica, quel neo nell’occhio. Mi ha fatto vedere altri nei sulle mani, poi i palmi e le linee della vita, mi ha chiesto se ci credo. Io ho detto che non me ne frega, lei ha detto che neanche a lei gliene frega.
Mi ricordo tutto quello che mi ha detto, in queste settimane, e anche tutti i giochi che abbiamo fatto insieme. Ogni volta che mi rivolgeva la parola, non so, stavo bene. B. è stata la prima persona che ho visto, a Malta. Appena son atterrato, il primo giorno, c’era lei ad aspettarmi. Ed è stata anche l’ultima. Dovevamo prendere il volo, l’altro ieri, in aeroporto, e ci siamo separati.
Aveva fretta di andare, e non siamo capaci nessun dei due di fare i melodrammatici. Lei doveva prendere la sua direzione, per Mosca, io la mia. Ci siamo abbracciati, buon viaggio. Però ormai lo sapevo, dov’era, il neo. E volevo vederlo per l’ultima volta, in aeroporto. L’ho trovato subito. Era lì, sul bordo della pupilla, prima di dirle ciao.