96 pagine
«Mia nonna» mi ha detto la Sophie, «diceva che un libro, per vedere se è buono, bisogna aprirlo e leggere a pagina 100». Io, il mio libro, sono 96 pagine. Chissà cosa direbbe, la nonna della Sophie.
– Ma c’è proprio bisogno di dire tante parolacce?
«Mia nonna» mi ha detto la Sophie, «diceva che un libro, per vedere se è buono, bisogna aprirlo e leggere a pagina 100». Io, il mio libro, sono 96 pagine. Chissà cosa direbbe, la nonna della Sophie.
Il 24 di marzo esce il mio primo romanzo. Intanto, mi sono arrivati i complimenti di Andrea Tarabbia, Paolo Nori, Giampiero Rigosi. I bastoni fra le ruote continuano, e peggiorano. Ma c’è anche qualche spinta, che aiuta. Avanti.
Allora adesso basta, mi son detto stasera. Che quand’è basta è basta, diceva mia mamma quand’ero piccolo.
So già che mi smentirò da solo.
In un bar di Roma, venerdì sera, parlando con la barista, mi sono reso conto di come io, il mio accento, non lo cambierei con nessun altro al mondo, che solo a pensare di parlare in romano, come lei, per dire, mi si accartoccia la faccia. Mi è piaciuto molto rispondere col mio accento all’accento di quella barista, venerdì sera in un bar di Roma.
Io, mi capita, delle volte, che sento parlare qualcuno che dopo penso: ma possibile che di tutto quel che c’è da parlare, questo qui debba parlare di quello di cui sta parlando, e in questo suo modo che usa di parlare? In pratica, mi capita di sentirmi colpevole per quello di cui parlano gli altri e i loro modi, che non capisco mai perché mi sento così, colpevole, ma è così.
Sul treno, domenica mattina, quand’è stata ora di scendere, mi son accorto che c’era un cuore, disegnato sul vetro alla mia destra. Son stato contento di vederlo, quel cuore. Però sarebbe stato meglio se l’avessi visto prima, quando mi ero seduto, appena salito sul treno, che alla fine. Avrei avuto più conforto, come dire. Però è andata bene lo stesso, anche col cuore alla fine.
Mi ero detto, a capodanno, che il 2022 sarebbe stato un anno buono, per far andare le cose bene. Sono venuti così tanti bastoni fra le ruote, in questi primi quaranta giorni, che secondo me è un test, come dire, dell’universo, per misurare se davvero ho un’intenzione forte. Ce l’ho. Sono pronto ad altri bastoni. Vediamo chi la spunta.
In questi giorni, che mi sono riempito la testa, e quindi il corpo, di schifo, e adesso lo sto pagando, e male, ho capito due cose. Uno, che degli amici come li ho io, non ce li ha nessuno, che saremo i più sgangherati, però siamo ancora capaci di parlare, e non ce la raccontiamo, i fondi li tocchiamo, e le stronzate, i veleni, le parrucconate, li lasciamo agli altri, che è anche per questo che saremo sgangherati, però, noi, o così o niente. E due, che forse sono un po’ capace, io, di stare a scuola, che mi riesce, e che stamattina una bimba, Isabel, si chiama, terza elementare, mi ha dato un abbraccio, che per un momento ho pensato che sì, sto male, ma il bene, intorno, e in me, c’è, e continuerà a esserci.
Sono entrato nella drogheria, stamattina, “Ciao maestro” gli ho detto, al pakistano. “Ciao eminenza” ha detto lui, poi ha aggiunto: “Come andiamo?”. Io gli ho risposto, in pratica, che ho dei problemi sentimentali, e lui, dopo un discorso dei suoi, lungo, alla fine ha chiuso così: “Coi sentimenti ci devi volare. Non ti ci devi aggrappare”. “Grazie, maestro” ho detto io, e sono uscito.
Ero in piadineria, in coda, e c’era una ragazza, davanti, che dopo aver ordinato ha cominciato a indietreggiare, e quando si è girata, che mi era quasi addosso, ho detto: “Occhio”. Lei ha detto: “Oh scusa”, e si è aggrappata alle mie braccia, e le ha strette, in un modo strano, che io ho pensato: ma cos’hai da stringere? Che stringi stringi, secondo me, in me c’è poco. O niente.
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