L’anno scorso

A me succedeva che quando avevo tredici anni, ripensando a quando avevo dodici anni pensavo Certo che l’anno scorso ero stupido. Dopo quando avevo quattordici anni, ripensando a quando avevo tredici anni pensavo Certo che l’anno scorso ero stupido, eh? Dopo quando avevo quindici anni, ripensando a quando avevo quattordici anni pensavo Certo che l’anno scorso ero messo in un modo. Che stupido, ero. Ecco, io adesso che l’anno scorso ero più stupido di quest’anno è un po’ che non lo penso più. Mi succedono invece delle cose, nella mia vita, che mi vien da pensare che tra poco penserò Certo che l’anno scorso ero furbo.

 

da Mi compro una Gilera
di Paolo Nori
(Feltrinelli, 2008)

 

Ragione

«Certo che dei ragazzi di vent’anni, oggi, fanno più fatica, a trovar lavoro, di quando avevamo vent’anni noi».
E lui aveva risposto: «Io, quando avevo ventidue anni, sono andato in Africa, a lavorare, secondo me si trova ancora, del lavoro, in Africa, o nei Paesi arabi, a cercarlo».
E lei gli aveva detto che però, rispetto a quando erano giovani loro, era un’altra cosa.
«Io» le aveva detto allora lui, «quando ero ancora più giovane, ho lavorato come apprendista salumaio nei prosciuttifici, ho fatto le campagne dei pomodori, ho fatto il facchino, secondo me si trova ancora, lavoro, da apprendista salumaio nei prosciuttifici, o nelle campagne dei pomodori, o da facchino».
Lei gli aveva detto che lui non le dava mai ragione.
Lui aveva detto: «Aah, ma volevi ragione? Scusa, non avevo capito: hai ragione» le aveva detto.

 

da Che dispiacere
di Paolo Nori
(Salani, 2020)

Luglio


Lói

 

E’ nóv ad lói, ’na dmènga,
e’ gév’ès vérs al zéinch de dopmezdè,
a Zula, própia in zéima,
ma la chèsa ad Baròus,
mo di dri, tl’òmbra,
tra la siva, che adlà e’ cala zò drétt
ad quèll ’d Lasagna,
e e’ méur, che l’era tótta una vardéura,
s’un vangín che faséva d’ogni tènt
un pó ’d smasír tra ’l cani,
m’un tavuléin i zughéva a trisétt
e i tnéva i sas sal chèrti
pòsta ch’a n vuléss véa.
E quante ma quèll ’d mèna
u i è vnú la crécca ad còppi
e tri tré fal denèri,
l’à gunfiè un pó, mo zétt, u n s’è fat cnòss,
u s’è cònd sla scaràna,
pu l’è scap sl’as, e u n géva ancòura gnént,
mo da la cuntantèzza
l’à dè una bota se lègn
che ti bicír e’ véin l’à tremè tótt,
e la zghéla se zris
la è stèda zétta ad bot da la paéura.
L’aria alòura la è dvénta acsè lizíra
che se crusèri u s’è sintí springnlé
e’ campanèl ruznéid d’na biciclètta,
e alazò, mo dalòngh,
vulè un areoplano sòura e’ mèr.

 

Luglio. Il nove luglio, una domenica | dovevano essere le cinque del pomeriggio, | a Ciola, proprio in cima, | alla casa di Baròus, | ma di dietro, nell’ombra, | tra la siepe, che di là cala giú dritto | nel fondo di Lasagna, | e il muro, che era tutta una verdura, | con un venticello che faceva ogni tanto | un po’ di tramestio fra le canne, | a un tavolino giocavano a tressette | e tenevano i sassi sulle carte | perché non volassero via. | E quando a quello di mano | gli è venuta la cricca di coppe | e tre tre senza danari, | s’è gonfiato un po’, ma zitto, non s’è fatto capire, | s’è accomodato sulla sedia, | poi è uscito con l’asso, e non diceva ancora niente, | ma dalla contentezza | ha dato una botta sul legno | che nei bicchieri il vino ha tremato tutto, | e la cicala sul ciliegio | ha taciuto di botto dalla paura. | L’aria allora è diventata così leggera | che sul crocicchio s’è sentito pigolare | il campanello arrugginito di una bicicletta, | e laggiù, ma lontano, | volare un aeroplano sopra il mare.

 

da La nàiva. Furistír. Ciacri
di Raffaello Baldini
(Einaudi, 2000)

L’ho sentita tutta

La Renata, cla sàira.
Quatar bal atachèd, senza dí gnént,
a i ò ciap una mèna
e la m’è vnéuda dri cmè una burdèla,
fina la Bosca, a stémmi sémpra zétt,
a la ò zirca te schéur, a n’i cridéva,
a la ò sintéida tótta,
e cla bòcca, cl’udòur, la camisètta
sbutunèda, a treméva,
e sòtta senza gnént, u i era li,
la è vnéuda zò pianín, dòulza, si ócc céus.
E pu la dmènga dop la s’è spusèda.

 

La Renata, quella sera. | Quattro balli di seguito, senza dire niente, | le ho preso una mano | e mi è venuta dietro come una bambina, | fino alla Bosca, stavamo sempre zitti, | l’ho cercata nel buio, non ci credevo, | l’ho sentita tutta, | e quella bocca, quel profumo, la camicetta | sbottonata, tremavo, | e sotto senza niente, c’era lei, | è venuta giú piano, dolce, con gli occhi chiusi. | E poi la domenica dopo s’è sposata.

 

da La nàiva. Furistír. Ciacri
di Raffaello Baldini
(Einaudi, 2000)

Annibale

Da allora, dal gennaio del 1846, a oggi, di pareri e di critiche su quell’opera ce ne sono stati tantissimi. Uno dei più recenti è di un signore che si chiama Annibale e che, il 18 aprile del 2014, sul sito www.amazon.com, ha recensito così il romanzo d’esordio di Dostoevskij, Povera gente: «Ricevuto il libro entro i termini fissati, molto curato l’imballo, ottima la qualità, mio figlio suggerisce a tutti questo venditore, saluti Annibale».

 

da Sanguina ancora
di Paolo Nori
(Mondadori, 2021)

Coglionaggine

Mi son ricordato di una volta che, avevo appena cominciato a abitare con Togliatti, e avevo appena firmato un contratto con una grande casa editrice che si chiama Einaudi, e una sera, non so perché, non lo facevo quasi mai, ma, aspettando che Togliatti tornasse a casa, mi ero messo a lavare i piatti e, intanto che lavavo i piatti, “Ma pensa” avevo pensato, “uno che sta per firmare un contratto con una grande casa editrice che si chiama Einaudi, guardalo qua che lava i piatti. Che umiltà” avevo pensato, e poi mi ero fermato nel mio lavare, “Ma sei deficiente?” avevo pensato.
Ero deficiente.
Mi succede, di essere deficiente, abbastanza spesso, anche.
C’è uno straordinario poeta e drammaturgo italiano che si chiama Raffaello Baldini che, in un suo straordinario testo teatrale che si intitola La fondazione, ha fatto dire al protagonista una battuta: «C’è una battuta, a proposito di battute, che la diceva sempre il maestro Liverani: “La battaglia contro la coglionaggine comincia da sé stessi”».
Ecco io, per quanto possa essere poco interessante, io devo dire che la mia coglionaggine non la combatto, la assecondo.

 

da Sanguina ancora
di Paolo Nori
(Mondadori, 2021)

Meraviglioso Stani

Meraviglioso Stani che poi lascerà nascosta nel mio armadietto una agenda che ancora ho con su questa dedica che ora riporto in tutto il suo fulgore: “Ricordati che per il mondo non sei nessuno, ma per qualcuno sei più di un mondo.”

 

da Pao Pao
di Pier Vittorio Tondelli
(Feltrinelli, 1982)

Perché tu ti perdi

E Filippo dirà: “Perché tu ti perdi nel tuo amore, ti abbandoni nel tuo amore quando invece anche un bambino sa che egli è una macchina diversa da sua madre e che quindi non potrà mai più raggiungerla in pienezza e completezza e invece tu vuoi completamente perderti nelle braccia dei tuoi amanti, dimenticarti, innestarti su di una storia meravigliosa proprio perché non tua. Ma noi siamo macchine e l’unico modo per non soffrire dell’amore è lasciare che le storie ti sfiorino, ti accarezzino, ti penetrino quel minimo che è possibile. Non puoi voler di più. È impossibile voler di più. Devi lasciarti solamente sfiorare dal tuo amore, se fai tanto di alimentarlo bruci, come stai bruciando ora.”

 

da Pao Pao
di Pier Vittorio Tondelli
(Feltrinelli, 1982)

Spontaneamente

Insomma, a quanto ne so dovrei studiare per strappare un titolo di studio che a sua volta mi permetta di strappare un buon lavoro che a sua volta mi consenta di strappare abbastanza soldi per strappare una qualche cavolo di serenità tutta guerreggiata e ferita e massacrata dagli sforzi inauditi per raggiungerla. Cioè, uno dei fini ultimi è questa cavolo di serenità martoriata. Il ragionamento è così. Non ci vuole un genio. E allora, perché dovrei sacrificare i momenti di serenità che mi vengono incontro spontaneamente lungo la strada?

 

da Jack Frusciante è uscito dal gruppo
di Enrico Brizzi
(Transeuropa, 1994)