Patatine

Sono andato a Bologna per scrivere quella cosa. Mi hanno portato a casa di una signora che si chiama Ivana. Ha settantun anni e vive col marito. Una casa fredda e ombrosa, la casa di Ivana. C’era un albero di Natale senza lucine.
Ivana ha avuto un tumore alle ovaie. Mi ha raccontato la sua storia: l’intervento da sette ore e mezzo, le febbri, i digiuni, la chemio. Tutto il dolore, nei particolari. A un certo punto ho cominciato a sudare. Poi mi fischiava un orecchio. Poi non respiravo.
«Sto male», ho detto. Mi hanno fatto stendere sul pavimento. Il dottore che era lì per lei si è occupato di me. Mi teneva su le gambe e le scuoteva. Ivana era in piedi vicino all’albero di Natale. «Ti immedesimi troppo», diceva. «Pensa a me, quando mi han detto che avevo un tumore… Per due giorni l’ho tenuto segreto».
Suo marito ha portato in tavola l’acqua e un pacchetto di patatine. Il dottore mi ha detto di mangiarle, così le ho mangiate. Dopo sono stato meglio. Ivana ha ricominciato a raccontarmi la sua malattia, ma stava più attenta a cosa dire e cosa no.
«È finita bene questa storia», ha detto alla fine. «Almeno, per adesso sono viva».
«Hai ragione», ho detto io.
«Anche tu, per adesso sei vivo», mi ha detto lei.
Abbiamo riso e ci siam fatti gli auguri di Natale. Suo marito mi ha tenuto il cappotto mentre me lo infilavo, il dottore invece se l’è infilato da solo. Poi siamo andati via.